La nuova normalità dei viaggi d’affari

Intervista a Federica Bombelli

Come il turismo leisure, anche il business travel ha ripreso a macinare numeri che – sono le stime degli operatori – entro fine anno riporteranno il comparto alle performance pre-pandemia del 2019. Nel frattempo, però, il mondo è cambiato e, anche chi viaggia per lavoro, esprime nuovi bisogni ai quali l’hospitality è chiamata a dare risposta per rimanere agganciata alle dinamiche di mercato. Tra carenza di personale, aumenti di tariffe e nuove sensibilità, abbiamo provato a capire come si orientano i travel manager delle aziende nella scelta dei servizi hospitality e quali sono le nuove tendenze dei viaggi d’affari insieme a Federica Bombelli, Hotel Industry Relations Director di ACI blueteam, la travel management company del Gruppo ACI specializzata in ambito business travel, MICE e leisure.

I viaggi d’affari sono ripartiti. Come sono cambiate le richieste dei clienti business rispetto alle accomodation?

F.B. “Se c’è una cosa che è cambiata con il Covid è tutta la parte relativa alla domanda di residence in città. Abbiamo assistito a un incremento notevole di richieste long stay – non intese come workation o bleisure – quanto piuttosto legate ad assunzioni fuori dai territori di residenza che lo smart working ha in qualche modo smarcato. Long stay in alcuni casi piuttosto lunghi, anche fino a 6 mesi o un anno.”

Che tipo di soluzioni sono richieste in questi casi?

F.B. “Sebbene oggi sia molto in voga nel travel tutto il mercato legato agli host privati – al netto di richieste ed esigenze particolari – noi cerchiamo sempre di indirizzare i nostri clienti corporate verso apart hotel, residence e strutture gestite in chiave alberghiera perché continuano a essere quelle che rispondono meglio alle esigenze del corporate travel in termini di servizio, come copertura di concierge e check-in, per esempio, e di assistenza.”

E per quanto riguarda, invece, le location?

F.B. “Questo è un aspetto che non è cambiato: chi viaggia per lavoro non pensa assolutamente a spostarsi in zone periferiche, ma continua a prediligere strutture centrali, che siano walking distance dal posto di lavoro, della riunione o dell’evento. Piuttosto che allontanarsi, i business travellers preferiscono scendere di tipologia di hotel, se c’è un vincolo di budget.”

A proposito di budget, come sta incidendo la dinamica al rialzo dei prezzi?

F.B. “Quello delle tariffe è il grande tema. Alle aziende abbiamo dovuto chiedere di rivedere le proprie policy perché in tante destinazioni le tariffe alberghiere sono davvero molto alte. Il problema è che si tratta di aumenti ingiustificati a fronte di un calo della qualità del servizio. Un calo non dovuto al fatto che gli hotel furbescamente riducono i servizi aumentando i prezzi perché sanno che tanto la domanda c’è, ma perché in questo momento hanno grossi problemi con il personale e con il recruiting. Si stanno trovando a fronteggiare un aumento esponenziale della domanda con personale nettamente ridotto. Ed è un problema globale.

Qual è il feedback dei clienti?

F.B. “I clienti si lamentano, ma in qualche modo accettano perché comprendono che si tratta di disservizi generati dalla carenza di personale. Certamente è grave che il cliente si trovi a spendere il 30-40% di tariffa in più rispetto al passato per avere un servizio spesso decisamente inferiore. Speriamo, con il 2024, in un ritorno a una “nuova normalità”, con una distinzione più chiara tra basse e alte stagioni e, soprattutto, con una presenza di personale adeguata a rispondere alle esigenze dei clienti.”

Nel frattempo, qual è l’impatto sulla domanda?

F.B. “Al momento, non stiamo vedendo una riduzione della domanda, se non per alcune iniziative in specifici periodi di travel freeze o sporadiche azioni di efficientamento delle trasferte. A fronte degli aumenti, più che ridurre il numero dei viaggi, le aziende scelgono strutture con un pricing leggermente inferiore, che permetta loro di restare il più possibile all’interno di quanto previsto dalle loro travel policy, senza abbassarsi troppo di categoria. Quello che stiamo constatando sono, invece, revisioni delle policy per aumentare i massimali per destinazione, dato che in alcuni casi erano davvero troppo bassi rispetto all’esigenza di qualità e di location della nostra clientela fashion, che si conferma essere comunque esigente. La location resta il fattore principale nella valutazione dei nostri clienti corporate ma, come dicevamo, non si stanno orientando verso zone più periferiche o destinazioni secondarie. Per quanto riguarda i servizi ancillari, solitamente la colazione viene quasi sempre acquistata, anche se non è inclusa nella tariffa. Anche in questo caso non abbiamo rilevato cambiamenti nei comportamenti.”

Secondo una recente ricerca di Accor, tra i parametri che i travel manager oggi prenderebbero sempre più in considerazione quando si tratta di selezionare i servizi di hospitality ci sarebbe la sostenibilità del soggiorno. È davvero così?

F.B. “Diciamo che siamo ancora in una fase embrionale. I travel manager iniziano a chiederci un’attività di monitoraggio sull’ecosostenibilità delle trasferte, soprattutto per quanto riguarda la parte air – anche per questo lanceremo a breve un tool che permetterà di misurare e dare evidenza delle emissioni di CO2 in base alla tratta e agli aeromobili impiegati per gli spostamenti. Sugli hotel, invece, non vediamo ancora un reale interesse. In generale, sull’hospitality è più complesso perché non è semplice misurare l’ecosostenibilità di un albergo e perché il mondo degli hotel è molto vario. Le grandi catene hanno policy avanzate, ma l’ospitalità, soprattutto in Italia, è fatta di tanti hotel individuali che non hanno gli strumenti, se non per l’adozione delle pratiche più semplici come può essere la riduzione della plastica monouso. I pillar della sostenibilità, però, sono diversi, non hanno a che fare solamente con l’impatto ambientale, ma anche con quello sociale, con l’integrazione con le comunità locali, con il well-being del personale. Lato fornitori, al momento vediamo molta sensibilità soprattutto da parte delle catene del lusso, che stanno lavorando tantissimo su questi temi, perché hanno un numero ridotto di strutture, marginalità che permettono di farlo e un tipo di clientela più evoluta e meno attenta alla tariffa.”

C’è un’altra tendenza che viene sempre citata ultimamente quando si parla di business travel, quella del cosiddetto bleisure. Dopo la pandemia sono aumentate le richieste per soggiorni che uniscono lavoro e vacanza?

F.B. “Di richieste specifiche su destinazioni leisure, in realtà, non ne vediamo tantissime. Certamente, c’è una maggior flessibilità da parte delle aziende ad accettare lo smart working per cui può essere che le persone si trovino a lavorare anche da località di villeggiatura. Richieste bleisure in senso stretto ne vediamo soprattutto sull’area vip: per quanto riguarda i top manager, è frequente che aggiungano alle notti di trasferta di lavoro due/tre notti di soggiorno di piacere, abbinando business e vacanze all’interno dello stesso viaggio, ma non si tratta di un effettivo incremento rispetto a quanto già accadeva in passato.”

Che autunno sarà per il business travel?

F.B. “Come azienda, confidiamo di raggiungere, entro la fine dell’anno, i numeri del 2019 su tutte le divisioni, dal MICE al business travel fino alla parte leisure. Questo, in parte, anche grazie all’aumento delle tariffe – raggiungiamo cioè i numeri del 2019 in termini di fatturato seppur con volumi minori. Questo, però, non vuol dire meno lavoro, anzi, perché dal Covid in poi ogni singola trasferta comporta un tempo di lavoro decisamente superiore. Per quanto riguarda nello specifico la parte hotel, evidenziamo già una sostanziale crescita sul 2019 e ci aspettiamo un settembre-ottobre molto buoni. L’aspetto sicuramente incoraggiante è che i dati positivi del revenue sono dovuti non solo all’aumento delle tariffe medie, ma anche a un sostanziale incremento delle room nights.”